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C'è dolcezza nel discernimento: Divine Earth intervistata

C'è dolcezza nel discernimento: Divine Earth intervistata

      Nel suo ultimo EP ‘LAVENDER’, Divine Earth – precedentemente nota come muva of Earth – entra in un nuovo capitolo trasformativo. In questa conversazione esploriamo come la dolcezza, la guarigione e il femminile divino informino il suo suono e la sua visione in evoluzione.

      Spinta dalla crescita e da un profondo impegno per la sua arte, la cantante e cantautrice di origine nigeriana e nata a Londra Divine Earth crea musica con intenzione. Nota per la sua eterea fusione di ritmi afro-spirituali e jazz ambient, ha da tempo affascinato il pubblico con le sue affermazioni di empowerment e l’energia curativa che sottende il suo sound.

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      Il suo secondo EP ‘LAVENDER’, pubblicato ora via Brownswood Recordings, segna sia una progressione musicale sia un arrivo personale. La presenta pienamente come Divine Earth, un allineamento più profondo tra l’artista che è e la persona che è sempre stata. “Muva era un soprannome che mi è stato dato a scuola”, mi dice, “ma sento di essere finalmente pronta a scegliere il mio nome— a entrare nella donna che sono sempre stata destinata a diventare”.

      Al centro, ‘LAVENDER’ parla della riunione del suo bambino interiore con la donna che è oggi: “Chi abbraccia la lavanda conosce la bellezza delle radici da cui proviene.” Il viola, dice, è sempre stato un colore verso cui si sentiva attratta da giovane. E sebbene la lavanda come profumo abbia simbolismi di fiducia e sensualità, i temi del progetto si estendono a un messaggio più ampio sull’autenticità. “Essere se stessi e essere autentici è difficile”, inizia. “Perché significa allontanarsi dal piacere degli altri, cosa che ho sempre fatto. Non credo di aver realmente capito la frase ‘sii te stesso’ fino a quando non ho smesso di fare cose per gli altri e ho iniziato a pensare per me stessa, e questo è arrivato più tardi nella vita.”

      Il brano di apertura dell’EP, ‘Magical Herbs’, guidato da un’arpa trascendente e da vocalità quasi da canto, è un invito lussureggiante a questa versione realizzata di sé. La produzione avvolge l’ascoltatore in un caldo abbraccio quasi sacro, una rivelazione gentile ma sicura. Scivola senza soluzione di continuità in ‘Chi’, l’unico pezzo spoken-word del progetto. “Ognuno ha il proprio destino da compiere… e diventare te stesso è scegliere il tuo destino,” recita. Il brano onora l’atto del divenire; del ritorno verso l’interno. Per Divine Earth, questo significa non inseguire più segni esterni, ma riconoscere la verità già avvertita dentro: “Il modo in cui ti senti era già un segno.”

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      Passiamo dai segni alla dolcezza, qualcosa che Divine Earth descrive come “tutto”. Ma la dolcezza, ammette, non è venuta naturale. “Essendo la maggiore, sono stata cresciuta per essere forte, per supportare mia madre e i miei fratelli. Forse la più piccola ha potuto essere dolce, ma quello non era il mio ruolo.” Oggi, però, la dolcezza è diventata una forza consolidante e affermativa nella sua vita, sia personale che creativa. Essa plasma il terzo brano dell’EP, ‘More Light’, una luminosa collaborazione con Princess Nokia che celebra la vulnerabilità in tutte le sue forme.

      “Ora amo la dolcezza,” dice con calore. “Amo quando le persone mi mostrano il loro lato morbido — è una delle mie cose preferite. Non sento il bisogno di litigare. Preferisco rispondere con dolcezza, con grazia, con il silenzio… e c’è tanta dolcezza nel discernimento.” Per Divine Earth, la dolcezza non si oppone alla forza; piuttosto vive dentro di essa. Informa la sua evoluzione come artista e come donna, specchiata nel potere sottile della sua musica.

      E proprio come la dolcezza, anche la fiducia è stata qualcosa in cui ha dovuto crescere. Cresciuta in una casa matriarcale, è stata presto sintonizzata sulla forza silenziosa delle donne; la loro complessità, la loro profondità, la loro forza divina. Tuttavia, la fiducia non è mai stata scontata. “A volte mi sento fraintesa,” riflette. Lo esplora in ‘Like Nina / Misunderstood’, un’ode tenera a Nina Simone, una figura che incarnava brillantezza creativa e individualità inflessibile, ma che spesso veniva trascurata o fraintesa al suo tempo. Attraverso questo brano, Divine Earth riconosce le donne che l’hanno preceduta: potenti, spesso interpretate male, eppure completamente se stesse. “Ho scritto questa canzone per ammorbidire quel senso di autocritica,” dice. “È una poesia su una persona bellissima che si sente ancora persa, forse intrappolata nella propria mente. È un’ode a essere sempre se stessi perché nessuno è più bravo a fare te di quanto lo sia tu.”

      A un certo punto della nostra conversazione, Davina tira fuori una copia di The Right Questions di Debbie Ford. Sfoglia le pagine e legge ad alta voce: “Sto restando nel mio potere o sto cercando di compiacere un altro? Questa voce mi spingerà verso un futuro ispirante, o mi terrà bloccata nel passato?”. È un momento silenzioso e riflessivo, che parla al nucleo spirituale di ‘LAVENDER’. Nella vita come nella musica, Divine Earth ci invita ad agire con intenzione, ad ascoltare attentamente la voce interiore e a onorare le verità che lì troviamo.

      Quello stesso spirito pulsa attraverso il penultimo brano ‘your love is see thru!’, dove lei canta: “Dance to the river that is me.” È un omaggio radioso all’autopossesso, al fluire libero nella propria verità, non più vincolati dalla paura o dalla performance. L’ultimo brano, ‘Lily/WHAT IS MEANT FOR ME…’, chiude il progetto con una quieta certezza. Su toni morbidi e meditativi, canta: “What is meant for me will not mislead.” È un mantra di abbandono e un invito a fidarsi dello svolgersi della vita senza forza né resistenza.

      Mentre Divine Earth continua a evolversi, il suo percorso è quello di abbracciare la complessità, di abbracciare la forza nella dolcezza, la chiarezza nella vulnerabilità e la libertà attraverso la consapevolezza di sé. Con ‘LAVENDER’, invita gli ascoltatori a esaminare la loro connessione con gli altri, con se stessi e con la terra, e a farlo con dolcezza.

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      Testo: Alice Vyvyan-Jones

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