Pochi dischi possono vantare un titolo tanto drammatico quanto «Everybody Scream». È il sesto album in studio dei Florence + The Machine, un’opera nata da traumi sia specifici sia generali. Nel 2023, mentre era in tour per l’ultimo LP «Dance Fever», Florence Welch — la forza creativa eponima del progetto — ha perso una gravidanza dovuta a una gravidanza ectopica e ha subito un intervento chirurgico salvavita, per poi tornare sul palco poche settimane dopo. In un certo senso fu una manifestazione carica di orrore dell’affermazione centrale dell’album: che non si sopravvive per quasi due decenni in un’industria sistematicamente sessista e famosamente volubile senza riportare cicatrici profonde.
Tali ferite ovviamente sono profonde, ma qui il paganesimo, la stregoneria e il gotico si sono rivelati apparentemente un balsamo — influenze che si manifestano in grande nei tamburi guerrafondai di «The Old Religions» e nel crescendo corale, gonfio e quasi sacrificiale di «Drink Deep». Nella traccia d’apertura eponima, cosparsa d’organo, la cadenza quasi incantatoria di Florence è echeggiata da urla spettrali di banshee e da direttive cantate (“Dance!”; “Move!”; “Jump!”); in «Kraken» si presenta come il mostro marino mitologico, assorbendo i suoi “pari” — come in effetti ha fatto con quasi tutti gli altri luminari della fine degli anni Zero — per dominare in modo duraturo le (onde)radio. Entrambe esprimono un potere straordinario — un potere che Florence sa bene di possedere — ma presentano anche una scomoda verità: a quale costo personale arriva la fama?
In queste 12 tracce, inquadra il suo rapporto con i riflettori come quello con un partner tossico, bramando l’adorazione e l’attenzione che offre pur riconoscendo i danni che infligge, sentendosi intrappolata — addirittura disgustata — dalle proprie compulsioni. È una dipendenza che non riesce a scrollarsi di dosso, un veleno che si somministra da sola. Da nessuna parte ciò è più potente che in «One Of The Greats» e «Music By Men»: la prima, una meditazione pacatamente furiosa e acerba sul suo soffitto di cristallo («I’ll be up there with the men and the 10 other women in the hundred greatest records of all time / It must be nice to be a man / And make boring music, just because you can», bofonchia sopra chitarre striscianti alla Velvet Underground); la seconda, una canzoncina allo stesso tempo auto-flagellante e accusatoria che è abilmente salvata dall’imbarazzo del «gli uomini sono spazzatura» grazie all’equilibrio della sua virulenza («You have a bigger ego than you think you do / Slide down in my seat so as not to threaten you»).
La penultima traccia «You Can Have It All», dunque, è l’amalgama di tutto quanto sopra, un’epopea cinematica guidata dagli archi che accoppia i segni distintivi di lunga data di Florence — teatralità, poesia, femminilità — con la grinta e il dolore delle sue battaglie perdute; mentre gli archi stridono negli ultimi spasmi del brano, c’è più di un’indicazione di amara ironia nelle parole del titolo. Se il suo debutto del 2008 «Lungs» era il respiro profondo di un tuffo nelle profondità, «Everybody Scream» è l’esalazione risuonante e catartica del ritornare finalmente in superficie.
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