Dicembre è diventato una rampa di lancio per quel tipo di musica che sembra troppo intima e poetica per annunciarsi a voce alta. Cameron Winter lo ha dimostrato l'anno scorso con ‘Heavy Metal’, un arrivo tardivo che ha definito il nucleo emotivo dell'anno. Dove Ellis ora prosegue la stessa tradizione senza clamore: ‘Blizzard’ emerge senza fanfare, un sussurro nell'ultima parte del 2025, una meraviglia chamber-pop-folk che atterra come un miracolo inaspettato.
‘To The Sandals’ è stata proposta come singolo d'esordio del progetto lo scorso settembre. Presentata come una riflessione spettrale su un matrimonio combinato in fretta a Cancún ormai in crisi, caratterizzata da chitarre tintinnanti e abbellimenti di sassofono, è sferzata dall'inverno e tenera, tremante per quel tipo di trasparenza che arriva solo dopo la tempesta. La voce eterea di Ellis si trasforma, dissolvendo il maschile e il femminile. È allettante ricorrere ai soliti punti di riferimento, l'innalzamento in falsetto alla Buckley, la sperimentazione folk contemporanea di Cameron Winter, ma ‘Blizzard’ rende chiaro che quei paragoni sono punti di partenza, non destinazioni. In dieci tracce, il ventiduenne dimostra di non limitarsi ad echeggiare influenze; sta costruendo il proprio lessico, la propria architettura emotiva.
In tutto ‘Blizzard’, Ellis usa la natura come musa ricorrente: la primavera che cede all'inverno, falchi e gheppi che orbitano sopra, corvi che cantano avvertimenti che nessuno ascolta. Questi motivi non sono decorativi; sono marcatori emotivi, immagini che ci guidano attraverso un mondo in cui il desiderio è costante ma mai desolante. È una lente d'ingrandimento sulla fragile bellezza dell'esperienza umana, sul modo in cui ci aggrappiamo alla memoria, alla speranza e su come questi momenti fugaci ci plasmano.
Ma la musica non è mai troppo intrappolata nella nostalgia, nemmeno nei momenti di introspezione, come “I’ll be gone by Christmas” o “I’ll still lift up my feather / That’s how far I will go”. Questo rende ‘Blizzard’ splendido e tangibile, di cuore aperto e senza maschere, il suo calore e il suo dolore esposti in superficie.
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Pubblicati insieme, ‘Pale Song’ e ‘Love Is’ sono una doppia finestra nella filosofia compositiva di Ellis. ‘Pale Song’ contempla il peso ingannevole del passato, avvertendo gli ascoltatori di non indugiare su di esso, mentre ‘Love Is’ emerge come manifesto, mantra e celebrazione innoica dell'amore nelle sue sfumature, “(Love is) A whispered smile and it’s got nothing to lose”, ancorata da un piano ampio, batteria e archi svolazzanti.
La gioia non finisce lì; cresce ancora di più in ‘Jaundice’, il cui ritmo trascinante e collettivo ricorda la scena di danza del Titanic in ‘An Irish Party in Third Class’, con jigs e polke eseguite dai Gaelic Storm. L'effervescenza continua a pieno regime, sfociando nel calore di ‘Heaven Has No Wings’, un brano soft-rock al pianoforte con sfumature anni '70.
Come meditazione finale, tutto svanisce tranne il tono celestiale di Ellis e il giro di chitarre rade in ‘Away You Stride’. Nella perdita e nel lamento arriva la chiarezza mentre rivela, “I shoot at clouds / I stab at lights / I’m ducking in a crowd / I saw you in the absence of light”. L'ultimo espiro dell'album suona come una ferita silenziosa, lasciando gli ascoltatori sospesi in una grazia malinconica.
L'uscita di ‘Blizzard’ è il culmine degli anni che Thomas O’Donoghue, nato a Galway, ha trascorso affinandosi nella scena live di Manchester e oltre. Fresco dal tour con i Geese e dai concerti in solo sold-out, il debutto di Dove Ellis traduce la sua presenza quietamente magnetica in qualcosa di molto più grande, che appena sfiora la superficie di ciò di cui è capace. Siamo appena all'inizio.
9/10
Parole: Sahar Ghadirian
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