Recensore: Tessa Jay
Pubblicato: 10 ottobre 2025
Etichetta: Alcopop!
Forse inaspettatamente per una band il cui nome è stato costruito sulla capacità di incanalare un'ansia inquieta in canzoni, brani che stanno permanentemente su un filo pronti a cambiare da un momento all'altro, il pugno nello stomaco del quinto album ‘Talking Machine’ arriva grazie a uno dei suoi momenti più sottili: la consegna vocale ripetitiva e rassegnata di Kristian Bell in ‘Don’t Make It For Me’ è tanto più efficace emotivamente proprio per la sua mancanza di volume, in netto contrasto con tutto ciò che ha urlato prima. Allo stesso modo, la melodia in stile Beatles che emerge in ‘Is The World Too Old’ mostra un lato molto più morbido — più canoro — del gruppo, ma è quando questi momenti meno intensi dal punto di vista sonoro si fondono perfettamente con il doomy rock di lunga data della band che il disco raggiunge l'apice: ‘Black Ice’, in cui i suoni di chitarra tipici si incontrano con un'interpretazione vocale che evoca il Britrock di fine anni ’90; il vorticoso ‘Nothing To See’; e ‘Perform’, dove una frustrazione cupa si accumula a partire da voci distorte, il brano trasformandosi da un valzer oscuro a un crescendo simile a come si potrebbe immaginare i Queens of the Stone Age suonerebbero se non avessero visto la luce del giorno per sei mesi. Questa visione più ampia non funziona sempre del tutto: i cenni prog onirici di ‘Romance’ sono del tutto dimenticabili (a tal punto che la sua ripresa guidata dal piano più tardi — il closer ‘Romance 2’ — pur essendo emotivamente sofferente, non costituisce un richiamo immediato). Tuttavia, nell'essere interessante per ciò che non è — pur restando indiscutibilmente loro stessi — è un'aggiunta lodevole al canone dei The Wytches.
Ne è valsa decisamente la pena.
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Un'aggiunta encomiabile al canone dei The Wytches.