Non ci sono molti festival che attirano contemporaneamente goth-rockers adulti e generazione Z esperta di TikTok, ma d'altra parte, non è frequente che Nine Inch Nails e Noah Kahan condividano il cartellone. La bellezza di oggi - il secondo giorno di musica a Mad Cool 2025 - è che, per quanto i fan siano qui per vedere i loro beniamini, è molto probabile che si imbattegano anche in artisti completamente fuori dal loro solito ambito. E che sarebbe un festival senza qualche outsider?
Iniziano oggi una serie di nomi europei, dalla star spagnola Natalia Lacunza e il gruppo strumentale svizzero Hermanos Gutiérrez, al trio georgiano Will Kolak e i locali di Madrid JØL - due tra le pochissime band che hanno superato 1000 iscritti per vincere la competizione Mad Cool Talent di quest’anno per artisti emergenti. Può essere ancora presto secondo gli standard spagnoli, ma già le folle si stanno radunando sul palco principale; e, mentre il breakout singer-songwriter Benson Boone appare al centro del palco tra gli applausi scroscianti, è chiaro che il suo pop da classifica e ballate acrobatiche fa colpo qui.
Così grande, però, è anche il pubblico per Alanis Morissette; che attraversa l’intera larghezza del palco indossando pantaloni in pelle e una maglietta oversize sobria, questo set mostra esattamente perché è affettuosamente soprannominata “la regina dell’angoscia alternative rock”. Non ha perduto una virgola del suo potere vocale emotivo o dell’attitudine sicura di sé negli anni successivi al suo album seminale del 1995, *Jagged Little Pill*, e si assicura di dare al disco (beh, almeno a metà) la celebrazione per il 30° anniversario che merita - quando, cioè, si riesce a sentirla sopra il crescendo della folla che canta. Non pronuncia una parola durante il primo verso di *Ironic*, limitandosi a tenerlo il microfono teso mentre le persone cantano la sua lista di testi iconici; più tardi, nel penultimo brano *Uninvited*, lascia che siano i fan a portarlo a termine, mentre si perde completamente nel breakdown strumentale. Ma è il suo inno perenne post-rottura *You Oughta Know* quello che colpisce di più questa sera: l’incarnazione sonora di risentimento pungente e catarsi liberatoria, il suo richiamo a prendere spazio e godersi l’imperfezione è un potente preludio - sia in termini musicali che di programmazione - al concerto di domani di Olivia Rodrigo.
Un altro dei nomi di maggior successo degli ultimi anni, Noah Kahan è, per lo più, esattamente il performer che ci si aspetta, evitando sceneggiature elaborate (a eccezione di una tenda rustica di corde annodate) e optando per una semplicità essenziale. Offre interpretazioni sincere dei suoi numeri folk molto popolari, con gratitudine genuina, spiegando che, dato che è la sua prima volta in Spagna, si aspettava che le persone fossero principalmente familiari con il successo travolgente *Stick Season*. Tra una canzone e l’altra, però, ci sono lampi di umorismo forse un po’ sorprendente: il brano del 2022 *Everywhere, Everything* viene presentato come “una canzone su sesso e vermi”, mentre all’inizio Noah proclama, in modo vagamente minaccioso, che “[lui] è qui per far sparire i sorrisi dai vostri volti questa sera”. Ricorda un Marcus Mumford più grintoso, ed è un contrappunto leggermente sconcertante e divertente alla sua sincerità musicale, ma, dalla folla presente, sembra che questa contrasto colleghi chiaramente.
Come i grandi dello indie britannico, i Kaiser Chiefs non sono estranei a un palco festivaliero. Quest’estate segnano vent’anni dal rilascio del loro amato debutto *Employment*, e stanno celebrando l’occasione con una serie di grandi concerti sia in patria che all’estero. E, lontani dall’essere scontati, annoiati o eccessivamente seri (come tendono certi artisti), il loro obiettivo principale è - come sempre - organizzare una serata indimenticabile. In piedi sopra gli amplificatori del palco indossando un blazer a righe, con l’aspetto e nelle azioni un leader travolgente, il frontman Ricky Wilson guida con l’esempio mentre la band si scatena con classici degli anni 2000 come *Everyday I Love You Less And Less*, *Modern Way* e *Ruby*. Una copertura a sorpresa di metà set di *Blitzkrieg Bop* dei Ramones mantiene alta l’attenzione del pubblico prima di lanciarsi in *I Predict A Riot*, ma sono le animazioni stravaganti proiettate sul grande schermo dietro la band a essere la sorpresa più grande della serata. Gatti con laser negli occhi, bambole Troll con capelli enormi, un videogioco stile Jurassic Park (chiamato *Dino Chiefs*) con versioni cartoonesche dei Kaiser: è davvero il sogno febbrile di uno sballo da E-numbers. E’ fantastico.
Un forte contrasto con l’extravaganza dei protagonisti di ieri sera, i Muse, quando questa sera sale sul palco Nine Inch Nails, sono solo loro ad occupare l’enorme palco principale: niente props, accessori o scenografie. Tuttavia, ciò che conta; infatti, questa (relativa) minimalismo rafforza soltanto la potenza dei pionieri del rock industriale, la cui musica e presenza inimitabile non necessitano di ornamenti. Alternando tra segmenti rumorosi e soddisfacenti e momenti più elettronici e ambient, Trent Reznor e compagnia continuano ad affascinare il pubblico, lontano dall’essere casuale - la maggioranza dei quali indossa merchandise NIN - in ogni svolta sonora, sicuri che li seguiremo volontariamente. Avvolti nel fumo e illuminati da stroboscopi, il loro set spazia dal metal affinità a qualcosa che si avvicina a un rave. Sono pochi i gruppi che possono muoversi così fluidamente tra stili come Nine Inch Nails, né quelli che sono così silenziosamente influenti: il ritmo possente di *Closer* è pura St. Vincent, e questa versione di *Hurt* - l’originale - è altrettanto commovente come la cover di Johnny Cash. Oltre a essere una masterclass di arte senza compromessi, questa realizzazione principale è un potente promemoria di quanto siano ubiquiti e vasti i geni musicali di NIN.
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