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Deftones – Musica privata

Deftones – Musica privata

      Con il loro debutto del 1995, ‘Adrenaline’, che quest’anno compie quasi 30 anni, i quattro di Sacramento continuano a trovare nuovi angoli del loro suono in cui immergersi e scoprire. Avendo da tempo voltato le spalle ai vezzi del nu metal — un’etichetta che non li ha mai veramente rappresentati — il decimo LP dei Deftones segna la fine del più lungo intervallo tra album dalla nascita del gruppo e continua a indicare una instancabile ricerca di nuove possibilità sonore all’interno dei paesaggi sonori sfacciati che frequentano così spesso.

      C’è anche un senso sottostante dell’importanza continuata dei vari progetti paralleli di Moreno — l’ultimo dei quali è l’LP a tendenza elettronica dei Crosses dello scorso anno, ‘Goodnight, God Bless, I Love U, Delete.’ — come mezzo per mantenere le cose creativamente fresche e stimolanti. Di conseguenza, il ritorno di ‘Private Music’ alla formula collaudata dei Deftones appare come una conferma vitale. Rappresenta la culminazione di tutto ciò che c’è stato prima; una lettera d’amore riverente alle glorie passate e un passo avanti in territori che risultano al contempo inaspettati e familiari nel modo migliore.

      Come sempre, l’equilibrio è tutto. Le delizie intense e brutali che hanno sempre permeato la produzione dei Deftones sono tutte presenti e corrette: le chitarre seghettate di Stephen Carpenter, il peso tettonico della batteria di Abe Cunningham e il basso che colpisce come un pugno allo stomaco del turnista Fred Sablan, che entra a far parte del gruppo dopo la partenza di Sergio Vega nel 2021. Naturalmente c’è ancora spazio anche per momenti più lenti e pensosi, spesso sottolineati dai synth di Frank Delgado — in cui emerge il lato più morbido di Chino Moreno. Che siate qui per i riff — e ce ne sono in abbondanza — o per momenti di riverie contemplative, ‘Private Music’ è un album felicissimo di accontentarvi.

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      Dai momenti iniziali del singolo di lancio, ‘My Mind Is A Mountain’, emerge un chiaro senso di scopo e intenzione. Il produttore Nick Raskulinecz, che ritorna nel team per la prima volta in più di un decennio dopo il suo lavoro su ‘Diamond Eyes’ e ‘Koi No Yokan’, cattura il gruppo mentre oscilla tra la pesantezza dell’alt-metal e l’atmosfera shoegaze, riflettendo un rinnovato focus sulla fusione eclettica di influenze del gruppo. Fin dall’inizio c’è un’enfasi sulla voce di Moreno come qualcosa da sentire piuttosto che da digerire immediatamente — anche se i fan probabilmente si divertiranno a scandagliare il loro significato più profondo ed etereo a partire dalla sua consueta interpretazione grezza ed emozionale.

      Aprendo con un muro di chitarre ruggenti, ‘Locked Club’ si frantuma in un ritmo che potrebbe collocarsi comodamente accanto a brani come ‘Royal’ o ‘Graphic Nature’ — un precoce segnale che Raskulinecz, Moreno e soci sono ancora in grado di cogliere alla sprovvista il pubblico, anche se se ne conoscono le mosse. Intitolata al processo di muta e probabilmente una chiave d’influenza per la coraggiosa grafica dell’album — un serpente bianco su uno sfondo luminoso — ‘Ecdysis’ si apre con un synth cupo, dalle venature techno, prima di detonare in un riff di basso che sembra preso dal repertorio di ‘White Pony’. Nel frattempo, ‘Infinite Source’ evoca echi di ‘Xnoybis’ dei Godflesh, con i suoi colpi trascinati di armonici staccati su cui la voce di Moreno fluttua per tutta la durata.

      Con una durata superiore ai sei minuti, ‘Souvenir’ è un affare esteso e onirico dominato dal lussureggiante e tonante lavoro di chitarra di Carpenter, che alla fine cede il passo a una falsa conclusione composta da quasi due minuti di deriva ambient. Un inno nel senso più vero del termine, suonerà assolutamente enorme in un’arena. Per chi brama aggressività pura, ‘cXz’ la offre in abbondanza. Con la sua batteria tonante e uno slancio inarrestabile, sembra tagliato dalla stessa stoffa di ‘Tempest’ di Koi No Yokan. Qui Moreno si diletta, incredibilmente, in quella che sembra la teoria dei numeri trascendentali — le costanti titolari, gli zeri (“uno è su, uno è giù, uno è perso, uno è lì”) — mentre i battiti delle mani nel ponte finale riecheggiano come una sorta di strano esperimento di Steve Reich riadattato per il mosh pit.

      Come accade con i suoi predecessori, i momenti più sorprendenti di Private Music sono alcuni dei suoi più quieti. Evocando le qualità introspettive di ‘Sextape’ e ‘Teenager’, ‘I Think About You All the Time’ potrebbe benissimo essere una delle cose più belle che Moreno abbia messo su nastro. Aprendo con una chitarra pensosa, leggera come una piuma, le sue tenere linee vocali mostrano il lato più morbido di Moreno: “Cavalcando la tua onda avvolto nella tua calma con le tue braccia sopra la mia testa”. Sembra tanto un’ode a un amante quanto la necessità insaziabile della band per momenti più lenti come questo. Subito dopo arriva il secondo singolo, ‘Milk Of The Madonna’, che irrompe con la batteria di Cunningham come forza trainante principale. Ricordando pezzi come ‘Mein’ e ‘Swerve City’, il suo ritornello vocale (“Santo fantasma, sono in fiamme / Spirito Santo, sono in fiamme”) sembra fatto su misura per rimanere in testa.

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      Le cose diventano più strane e più oscure durante l’ultima parte di Private Music. In ‘Cut Hands’ la band flirta ancora una volta con l’abrasività dell’alt-rock, accompagnata da alcune delle più discutibili svolte liriche di Moreno (“non ti senti più stabile ma non vuoi arrenderti, stai finendo le monetine senza togliermi dalla mia pianura”), mentre ‘Metal Dream’ prende una svolta ancora più a sinistra con Moreno che alterna vocali parlati su una linea di basso bassa e rimbombante e una performance stordita che ricorda Robert Smith, con il quale Moreno ha collaborato nella traccia dei Crosses dello scorso anno, ‘Girls Float † Boys Cry’. A chiudere il tutto c’è il cavernoso ‘Departing the Body’, che si apre con Moreno che intona in un registro inusitatamente basso prima di meditare sulla trascendenza con il suo collaudato tocco di astrazione onirica, accompagnato da un riff adeguatamente nebbioso.

      Forse la cosa più miracolosa di ‘Private Music’ è quanto rapidamente questi brani si radichino nel canone della band accanto ai preferiti dei fan. Per un gruppo che ha smesso da tempo di dover dimostrare qualcosa, arriva come una dichiarazione sicura da parte di una band che continua a trovare ragioni convincenti per farlo. Trovando con destrezza un equilibrio tra brutalità e grazia, è un promemoria gradito che i Deftones sono ancora più che capaci di consegnare il necessario pur mostrandoci qualcosa di nuovo e vitale.

      Scritto da: Paul Weedon

      9/10

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