C'è una crepa in ogni cosa. È così che la luce entra.
Nel 1992, nel brano "Anthem", Leonard Cohen ci disse di dimenticare le nostre offerte perfette e accettare l'imperfezione in tutto ciò che conosciamo. Implicava che la perfezione è un mito. C'è speranza nell'oscurità; c'è libertà nell'imperfezione. Ora, con i versi del poeta canadese al suo fianco, Leon Vynehall abbraccia le parole di Cohen – e, in ultima analisi, i difetti della nostra realtà – nel suo ultimo album, 'In Daytona Yellow'.
'In Daytona Yellow' è un ritorno audace e vulnerabile per l'artista e produttore candidato all'Ivor Novello. Come album, aggiunge una profonda complessità sonora alla discografia di Vynehall – e segue il suo album del 2021 'Rare, Forever' con un ricco paesaggio sonoro atmosferico.
In "All I See Is You, Velvet Brown", che conclude il primo disco di 'Rare, Forever', Vynehall recita la poesia "Harbouring" di Will Ritson con la frase «Non farei nulla di diverso nell'ospitare i miei errori». Quattro anni dopo, l'artista sta smascherando questi errori – accogliendo l'inevitabilità dei nostri difetti e delle nostre imperfezioni. Questa libertà ritrovata fa di 'In Daytona Yellow' il suo contributo musicale più avventuroso e senza filtri finora.
"Life Is Not Enough" accoglie gli ascoltatori nell'esperienza immersiva dell'album. Come l'installazione di James Turrell "master of light", che ha ispirato il brano, all'inizio siamo condotti in una suspense oscura – in attesa che l'opera si riveli. "Life Is Not Enough" ti conduce nel suo suono stratificato, spingendoti verso le fasi successive del paesaggio sonoro accuratamente intessuto da Vynehall. Prima che tu raggiunga quel punto, la recita di «dimentica la tua offerta perfetta, perché c'è una crepa in ogni cosa» interrompe la musica, permettendo all'album di proseguire e alla luce di filtrare.
Le voci dal vivo sono un elemento centrale lungo le dieci tracce. L'album si immerge nelle introspezioni personali di Vynehall – esponendo a nudo i lati inesplorati della sua arte, con la sua voce in primo piano – e si apre a collaborazioni con artisti come TYSON, Kenzi TTH, Beau Nox e Jeshi. Questo schema disorientante si manifesta come una svolta per l'artista, che fa i primi passi nell'avant-pop e nell'R&B esercitando al contempo le sue capacità di singer/songwriter.
Momenti intimi e malinconici di riflessione, come in 'A Jagged Promise' e 'Slow Devotion', si confrontano con brani che lo lanciano in pista – come l'accattivante 'Mirror’s Edge ft POiSION ANNA', alimentata dalla fusione di un coinvolgente loop di synth e dalla voce ipnotica di POiSION ANNA.
Si avverte un disagio udibile nell'equilibrare questi suoni, voci e generi giustapposti e frammentati. In certi momenti si percepisce il dolore e la confusione di Vynehall che, quando immersi in una nuova profondità, diventano agitati e sopraffatti – un'ansia che trabocca in convincenti momenti orchestrali in 'Life Is Not Enough' e 'You Strange Precious Thing ft. Chartreuse'. Al di fuori della zona di comfort di Leon Vynehall, nella quale si è costruito una reputazione prolifica come DJ e produttore, la sua fiducia nell'esperimentare trova spazio per fiorire.
Attraverso 'In Daytona Yellow' assistiamo alla metamorfosi spirituale e musicale di Leon Vynehall. L'appropriatamente intitolato 'New Skin/Old Body' conduce gli ascoltatori alla fine del loro viaggio, dopo aver assistito al produttore che fa i conti con un profondo senso di perdita – la morte dell'ego e un distacco da tutto ciò che conosce, o per cui è stato maggiormente noto. Con un senso di nuova luce, ci resta la domanda su chi sia Leon Vynehall adesso.
8/10
Parole: Amelia Kelly
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C'è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce. Nel 1992, nella traccia 'Anthem', Leonard Cohen ci disse di dimenticare le nostre offerte perfette